Il diabete e la sua diagnosi
Nel soggetto diabetico l’alimentazione riveste un ruo lo tanto primario e fondamentale, che l’applicazione co stante e guidata di un corretto regime alimentare viene definita ,in termini medici, come terapia dietetica.
Una dieta personalizzata, impostata sul singolo paziente e senza comportare sacrifici considerati inaccettabili, può raggiungere notevoli risultati terapeutici: in molti casi di diabete di tipo 2 essa puo’, anche da sola, permettere un buon controllo metabolico, mentre nel diabete di tipo 1 essa aiuta comunque a prevenire pericolose oscillazioni della glicemia.
Uno dei problemi che si riscontrano nella pratica quotidiana del nutrizionista è quello di ottenere una buona adesione del paziente al progetto dietetico.
A tal fine diventa necessario impostare un efficace programma di educazione nutrizionale in cui venga sottolineata l’importanza di una corretta alimentazione ai fini della prevenzione delle complicanze (vascolari, renali, visive , infettive) della malattia, nonché del mantenimento di una ottimale qualità della vita .
Perciò tratteremo con un’attenzione particolare ,pur con i limiti di un contenuto divulgativo, quelle nozioni di base che costituiscono l’applicazione al regime dietetico di un soggetto con diabete.
Riteniamo infatti fondamentale , oltre che utile, che il soggetto diabetico conosca i fondamenti di una corretta strategia dietetica.
Sapere cioè come e perchè esistono certe indicazioni alimentari rende il soggetto non più un semplice spettatore passivo del trattamento, ma una persona coinvolta attivamente in ogni aspetto, anche non farmacologico, del suo progetto alimentare.
COME IDENTIFICARE IL DIABETE
Glicemia e test di tolleranza al glucosio
Il primo semplice esame da eseguire è la glicemia a digiuno. Se il valore oltrepassa i 126 mg/di, in misurazio ni ripetute e in giorni diversi il medico può fare diagnosi di diabete.Se il valore è compreso tra 110 e 126 mg/di, è necessario approfondire l’indagine con ulteriori esami. Il più comunemente utilizzato è il test di tolleranza al glucosio ( carico orale di glucosio )
Questo esame permette di valutare la capa cità dell’organismo di contenere la glicemia entro limiti nomali dopo la somministrazione di un carico orale di glucosio di 75 g (dose standard). Come si è già detto, l’indicazione principale per effettuare una curva da carico orale di glucosio è una glicemia compresa tra 110 e 126 mg/di. Purtuttavia esistono anche altre indicazioni, cosiddette fattori di rischio, per cui è il caso di indagare approfonditamente: familiarità, obesità , soggetti giovani con manifestazioni neuro logiche, aterosclerotiche, coronariche , retinopatiche di cui non sia chiara la causa .
Insulinemia
l dosaggio dell’insulina (insulinemia) è un altro esame molto importante in quanto permette di stabilire diret tamente la funzionalità delle cellule beta del pancreas. La misurazione effettuata durante il test di tolleranza al glucosio ci fa vedere “dal vivo” la capacità dell’organismo di produrre insulina circolante sotto lo stimolo indotto dal glucosio.
Il medico, attenendosi ai criteri riconosciuti dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), potrà interpreta re i risultati combinati di glicemia ed insulina, indicando lo stato di normalità, oppure una ridotta tolleranza al gluco sio ,oppure l’evidenza di diabete mellito conclamato.
Esame delle urine
Un’altra indagine di facile esecuzione e di rapida re fertazione è l’esame delle urine.
Con essa è possibile identificare la presenza/assenza di glicosuria (glucosio nelle urine) e chetonuria (presenza/assenza di corpi chetonici nelle urine).
Se vi è glucosio nelle urine significa , in linea di massima e con le dovute opportune eccezioni, che la glicemia è oltre i 180 mg/di : infatti solo oltre questa concentrazione (soglia renale per il glucosio) il rene elimina il glucosio attraverso le urine.
La glicosuria deve essere effettuata nell’arco della giornata tra un pasto e l’altro, e questo per potere individuare quegli eventuali aumenti della glicemia che non siano evidenti a digiuno ma evidenziabili solo dopo i pasti.
La chetonuria è sempre espressione di un grave scompenso metabolico.
c-peptide
Il peptide C è un frammento della molecola originale dalla quale si forma l’insulina.
Quando dalla molecola iniziale si produce l’insulina vera e propria, viene rilasciato anche il peptide C.
L’insulina attiva è la molecola che resta quando si di stacca il frammento peptide-c .
Negli individui che fanno terapia con insulina, allor quando si voglia verificare la capacità secretoria dellecellule beta.non è possibile valutare direttamente l’insu linemia, proprio perché così verrebbe misurata anche quella somministrata come farmaco.
Possiamo allora valutare la concentrazione di pepti de C (che non è contenuto nell’insulina farmacologica), specie nei pazienti affetti da diabete mellito di recente in sorgenza , per verificare la capacità residua delle cellule beta di produrre insulina.
Quadro Anticorpale
Dal momento che nel diabete di tipo 1, in fase di esor dio, si può avere spesso la formazione di anticorpi contro i vari elementi in gioco nella malattia diabetica (cellule beta del pancreas, insulina) si utilizzano test per svelare alcuni di questi anticorpi nel sangue circolante.
Questi esami sono effettuati di solito per diagnosticare la fase iniziale del diabete di tipo 1 oppure per individuare soggetti a rischio di sviluppare questo tipo di diabete.
Anticorpi anti-cellule insulari(ICA)
Questi anticorpi sono presenti in più del 95% dei casi di diabete di tipo 1 in fase iniziale e tendono poi a ridursi sino alla loro scomparsa .
Si tende ad attribuire a questi anticorpi un ruolo predittivo della comparsa di diabete: è stato visto che il 50% dei parenti di primo grado (genitori,fratelli, figli) di soggetti con diabete e portatori di anticorpi ICA hanno sviluppato il diabete entro 9 anni dalla loro evidenziazione.
Il valore predittivo è ancora più alto (63%) se i soggetti avevano nel sangue anche anticorpi anti-insulina (IAA).
Anticorpi anti-insulina (IAA,lnsulin Auto Antibodies)
Questi anticorpi possono comparire in circolo prima
dell’esordio clinico del diabete e sono associati ad un elevato rischio di malattia nei parenti di primo grado di soggetti con diabete di tipo 1.
Presentano una correlazione inversa sia con l’età sia con la durata della fase preclinica: più elevati sono i livelli di IAA, più rapida sembra essere la progressione verso la malattia.
Per tale motivo essi sono un valido marker di predizio ne della malattia solo in soggetti di età inferiore ai 1O anni. Questi anticorpi IAA sono importanti per due ordini di motivi. Innanzitutto, sono stati riscontrati in molti soggetti considerati a rischio per il diabete e tale riscontro è spesso parallelo a quello degli ICA descritti precedentemente, aumentando il fattore di rischio per la malattia.
Inoltre essi erano alla base di difficoltà terapeutiche per il medico quando si utilizzava insulina non di sintesi. La somministrazione di insulina induceva la formazione di questi anticorpi che si legavano ad essa e ne bloccavano l’azione.
Poteva però accadere che l’insulina, imprevedibimente, si liberava da questo legame e poteva indurre crisi ipoglicemiche in qualunque momento della giornata.
Questi anticorpi si rendevano quindi responsabili di una grave instabilità della malattia.
Con l’avvento dell’insulina ricombinante di sintesi, identica a quella umana, questi anticorpi reattivi sono scomparsi.
Anticorpi anti-GAD (GADGlutamicAcid decarbo xylase auto antibodies)
Questi anticorpi sono più sensibili e più specifici rispet to agli ICA. Nell’uomo esistono due isoforme di GAD, che differiscono tra loro per peso molecolare (65kD e 67kD), Autoanticorpi antiGAD 65 ed antiGAD67 sono stati riportati nei soggetti sia prima sia al momento della diagnosi di diabete.
Auto anticorpi anti-tirosina fosfatasi insulare
Tali anticorpi, noti anche con la sigla IA-2, sono stati dimostrati in soggetti con diabete di tipo 1 prima ed al momento dell’esordio clinico della malattia.
Sono autoanticorpi che reagiscono con due proteine insulari di 37kD (IA2) e di 40kD (IA2b) e sono altamente predittivi di futura comparsa della malattia in parenti di 1° grado di soggetti con diabete di tipo 1.
Glicosilata (HbA1c)
L’emoglobina glicosilata è un parametro molto utile per valutare il controllo glicemico del paziente.Infatti, mentre la glicemia ci da’ una fotografia “istan tanea” della situazione glicemica, l’emoglobina glicosila ta è come un “film” che indica se la glicemia è stata ben controllata nei 3 mesi circa precedenti. Questa misurazione si basa sul seguente principio:
l’emoglobina, che serve a trasportare l’ossigeno ai tes suti, è contenuta nei globuli rossi, i quali hanno una vita media di 120 giorni.Quando nel paziente diabetico la glicemia si eleva, una parte del glucosio si lega irreversibilmente all’emo globina (glicosilazione) formando appunto emoglobina glicosilata (HbA1).Questa forma di emoglobina è stabile, fino a quando i globuli rossinoncompletino illorociclovitaleesianodistrutti . Diciamo che in questa proteina, in caso di aumento della glicemia, resta una “traccia” indelebile di quanto è avve nuto. Quindi l’HbA1 è un indice fedele del controllo meta bolico che nei diabetici non deve essere superiore al 6-7%. La prossima volta valuteremo i corretti approcci nutrizionali per i soggetti diabetici.
Dr Giovanni Rechichi